giovedì 30 agosto 2007

Ben Harper - Lifeline

Mi è capitato di vedere un filmato su Ben Harper davvero illuminante. Durante un'esibizione live chiede al pubblico quanti di loro hanno sentito la sua musica in TV. Nessuno. Quanti lo hanno conosciuto tramite la radio. Nessuno. Quanti lo hanno conosciuto grazie ad un amico. Al passaparola. Un boato. Tutti hanno conosciuto la sua musica grazie a questo "primitivo" strumento di marketing!

Anche a me è capitata la medesima esperienza. Magica. Semisbronzo, a tarda notte, durante una festa con amici ho sentito uscire dallo stereo il ritmo di un bongo. Poi un riff di chitarra acustica. Infine una voce che mi ha stregato. Era Ben Harper. Cantava "Burn one down". Sono rimasto ipnotizzato. Da li a breve ho iniziato a cercare tutta la sua musica. Anche la splendida versione di "Strawberry Fields" che ha magistralmente reinterpretato. Semplicemente fantastica.

Grazie al primitivo meccanismo del passaparola anche io sono diventato BenHarperdipendente! Da allora ogni volta che viene annunciato un suo nuovo lavoro mi ritrovo in una situazione di conflittualità piuttosto marcata. Da un lato la gioia e l'attesa per il nuovo lavoro. Dall'altro il timore e la paura. Ben Harper non è un marziano. Prima o poi la sua, peraltro enorme, vena creativa è destinata ad esaurirsi.

Ad ogni nuova uscita Ben dichiara che è il suo lavoro migliore. Quello più riuscito. Ed in effetti non mi ha mai deluso. Ogni volta la paura del flop viene prepotentemente scalzata dalla gioia derivante dalla bellezza della musica e dalla profondità dei testi che Ben scrive. E' incredibile ma ogni volta pare un essere perfetto che non sbaglia un colpo. Certo, alcuni album sono più belli di altri. Ma tutti sono sorprendenti. Un esempio su tutti è "There will be a light". Produzione lontana anni luce da quanto fatto fino a quel momento. Ben Harper ha saputo innovarsi senza negarsi. Ha saputo rilanciare i Blind Boys of Alabama. Ha saputo creare un capolavoro unico.

Ovviamente alla notizia che a fine agosto sarebbe uscito il nuovo album di Ben Harper il mio conflitto interiore è violentemente (ri)esploso. Devo essere onesto. Il sospetto che questa volta potesse fallire era fortissimo. Dopo un album doppio, nato sulla scia della rabbia per la devastazione dell'uragano Katrina. Urlo a difesa della gente di colore, trascurata dall'amministrazione Bush. Dopo mesi di tour. Dopo una settimana chiuso in uno studio parigino con i criminali innocenti ha dato alla luce un altro capolavoro.

E' un album black. Soul. Suona come se fosse stato prodotto negli anni '70. Ma è moderno. Avvincente. Già dal primo ascolto ho capito che anche questa volta Ben Harper ha fatto centro. E' inutile elencare i pregi di ogni singolo brano. Basta citare un solo titolo che rappresenta la bellezza dell'intero disco: Put it on. Di Marleyiana memoria nel titolo. Ma ispirato dalla black music dell'epoca d'oro. Travolgente e trascinante. Scalda il cuore. Fa venire voglia di cantare a squarciagola muovendosi al suo ritmo.

Forse prima o poi (spero sempre e comunque poi) Ben sbaglierà. Non so. Per me lui oggi è sempre molto più marziano che umano.

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