martedì 10 luglio 2007

07.07.07 Live Earth

Strana la vita. Al Gore fino a ieri era un fallito. Quanti candidati alla Presidenza degli Stati Uniti d'America una volta sconfitti sono rimasti sulla cresta dell'onda? Nessuno. Neanche Al Gore ci è riuscito. Fino a ieri. Come tutti gli ex-candidati alla Casa Bianca che hanno fallito in qualche modo è sparito dalle scene pubbliche. Quasi come accade in Italia. Neanche il terremoto giudiziario di Tangentopoli è riuscito a togliere la poltrona a certi "uomini pubblici".

Al Gore. Fino a ieri un eterno secondo. Poco più che un signor nessuno. Uno che non ce l'ha fatta. Oggi un eroe. Per i giovani. Che poi sono il futuro e la speranza del mondo. Di punto in bianco Al Gore ha saputo risorgere dalle sue ceneri. Solo in una terra di opportunità come possono essere gli States poteva accadere. Al Gore si è reinventato. Cavalcando gli eventi si è trasformato in un moderno paladino dell'ecologia. La sua missione, a dir poco ambiziosa, è quella di salvare la terra. Dall'uomo. E dalla furia autodistruttiva della civiltà. Dello spreco.

Tutto è stato piuttosto semplice. E' iniziato con un libro e con un film denuncia i cui vengono presentati scenari apocalittici. Ma non irreali. Anzi sempre più avallati da numerosi scienziati. L'evoluzione è stato il coinvolgimento di altre celebrità. Per diffondere il messaggio. Una scomoda verità appunto. Alla fine Al Gore è riuscito ad organizzare un evento mediatico di tutto rispetto. Il Live Earth. 9 concerti in 9 diversi angoli di questa terra malata. Avvelenata dall'uomo. Un evento con l'obiettivo dichiarato di scuoterci dal torpore in cui siamo precipitati.

Ad essere onesto non mi pare di aver assistito a memorabili performance artistiche. La più divertente è forse stata quella degli Spinal Tap. Con una ventina di amici (tra cui Metallica, James Blunt ed altri), tutti dotati di basso, hanno intonato la canzone finale del loro set. Niente di speciale, di nuovo. Ma va bene così. La musica non doveva prendere il sopravvento. Una volta tanto gli artisti sono stati il mezzo e non il fine.

Il fine era ed è la diffusione del messaggio. Salviamo la terra. La nostra terra. Il nostro pianeta. E credo che in fondo il Live Earth sia stato un grande successo. Il messaggio è passato. La gente è rimasta impressionata. L'idea semplice ma geniale di trasmettere tra una canzone e l'altra delle informazioni sull'impatto delle nostre più piccole azioni ha avuto un effetto devastante. La sera dopo il concerto ne ho avuto la prova. In un locale con amici ho sentito gente che discuteva dell'impatto dei led che segnalano lo stand-by degli apparecchi elettronici. Di quanta energia si risparmia con i giornali riciclati. Di come sia saggio caricare il cellulare di giorno e non di notte. Questa è la misura del successo del Live Earth. Lo scopo, nobile, è stato raggiunto. Sensibilizzare le persone.

L'eterno secondo Al Gore questa volta ha vinto. Non è stato messo in ombra nemmeno da eventi potenzialmente negativi come l'arresto del figlio per possesso di droga a pochi giorni dall'evento. Il messaggio è più importante di tutto, anche di chi lo porto e di chi gli sta intorno. Gore ha sconfitto anche il clan Bush. Con il concerto di Washington. Ostacolato fino all'ultimo minuto da The Prez & Family è stato tenuto da band esclusivamente di origine indiana.

C'è chi dice che Al Gore si ricandiderà. Speriamo. E' difficile fare peggio di quanto fatto fino ad oggi e con premesse come quelle del Live Earth si può solo avere fiducia.

martedì 3 luglio 2007

Bob Brozman l'antropomusicologo viaggiante.

L'anno scorso a Milano in un microscopico locale nella zona dei navigli, il mitico Nidaba Theatre, ho assistito ad un concerto del bluesman Bob Brozman. Il freddo e la nebbia che solo Milano d'inverno sa regalare creavano un incredibile contrasto con il caldo all'interno del locale. Purtroppo sono arrivato tardi. Oltre duecento persone avevano invaso uno spazio sufficiente per non più di cento anime. Appeso alla porta d'ingresso ho potuto ascoltare qualche brano. Impressionante. Dopo poco ho dovuto mollare. Ma mi sono ripromesso che avrei rivisto da qualche parte mr Brozman.

Dopo meno di un anno si è ripresentato a Milano. Impossibile mancare. Non esiste il talento. Solo la volontà e il desiderio di imparare. È difficile descrivere Bob Brozman. È un grande musicista. Non solo. Sarebbe riduttivo. È un fenomenale percussionista. Anche e forse soprattutto. È un chitarrista. Si. Geniale, imprevedibile, indescrivibile. Ma probabilmente, come lui stesso si descrive, è solo un antropomusicologo. Con la sua chitarra ci fa conoscere il mondo. Le sue mani riproducono ritmi e suoni dai quattro angoli del pianeta. Credi di avere davanti a te un bluesman. Ma le tue orecchie dicono che ti stai sbagliando. Da una improbabile chitarra indiana escono suoni che fanno pensare a Mumbai ma la melodia è paint it black degli Stones. Non faccio in tempo a realizzare e subito dalla sua chitarra resofonica partono le note di Cab Calloway. Sorrido godendomi i suoni. Immediatamente una tromba inizia a suonare alle mie spalle. Timidamente si avvicina al palco un ragazzo che improvvisa con Bob. Lui sorpreso e contento quanto me lo incita a proseguire, a salire sul palco. La libertà dei due regna sovrana. Chi ascolta non può far altro che rabbrividire. Incredulo e contento. La magia continua. Come gli applausi scroscianti. Credevo di assistere al concerto di un chitarrista. Capisco sempre meno dove sono. Ma non ha importanza. Non è pazzia unire ritmi africani, melodie indiane, strumenti sudamericani, musica jazz, blues ed etnica. No. Non è pazzia. Come più volte ribadisce mr Brozman questa è solo libertà. Assenza di vincoli, mentali. Di preconcetti. Non è mai troppo tardi per imparare.

Dopo aver suonato love in vain come se fosse posseduto da Robert Johnson incita chiunque ha un figlio ad incoraggiarlo verso la musica. Per ribadire il concetto, come ce ne fosse bisogno, dice che ogni musicista in più sulla faccia della terra è un criminale in meno...a parte Michael Jackson. Parole sue...che sottoscrivo! E parte con una incredibile canzone western con venature dal sapore hawaiano. Tanto per non smentirsi. A questo punto non capisco più nulla. Con una vecchia chitarra sulle sue ginocchia ci spiega che per fare un blues primitivo, è un antropomusicologo come dicevo, tre accordi sono troppi. Quattro dita sono eccessive. Con un accordo ed un dito, lo slide, stende tutti. Il problema è che se chiudo gli occhi credo di avere davanti una band con almeno tre chitarristi e due percussionisti. Ma quando li riapro davanti a me c'è solo lui. E continuo a non capire come sia possibile.

Alla fine capisco che non c'è nulla da capire. A parte il fatto che l'unica cosa da fare è aprire le orecchie ed il cuore per recepire quanto più possibile della passione che trasmette mr Brozman. Grazie. Ho sempre più voglia di continuare a suonare la mia chitarra e far si che al mondo ci sia un criminale in meno.

Tra il 22 luglio ed il 14 agosto BB sarà in Italia per una serie di concerti e showcase. Mancare sarebbe un delitto.